Alvaro Mazza – Comitato Glaciologico Italiano
LA TEORIA DELLE ONDE CINEMATICHE: POSSIBILE APPLICAZIONE AL GHIACCIAIO DEL BELVEDERE (VALLE ANZASCA, ALPI ITALIANE). IPOTESI PRELIMINARI
1 – LA TEORIA DELLE ONDE CINEMATICHE DI L. DE MARCHI
Nel 1895 il glaciologo italiano L. De Marchi formulò per primo la teoria delle onde cinematiche. Partendo dal concetto di continuità, fondamentale ancora oggi in glaciologia fisica (Hutter, 1983), l’autore ipotizzò che a un incremento sensibile di massa nella parte superiore di un ghiacciaio facesse seguito, con determinate condizioni geometriche dello stesso, un’ondata che si propaga a una velocità superiore a quella del ghiacciaio (De Marchi, 1895). L’argomento venne trattato successivamente da S. Finsterwalder (1907), in forma matematica più complessa e quindi ripreso dallo stesso De Marchi (1911). Esempi concreti in proposito furono forniti da ricerche sui ghiacciai Mer de Glace, studiato dal Vallot, e Hintereisferner, studiato da S. Finsterwalder. Sono soggetti al fenomeno delle onde cinematiche quei ghiacciai – è il caso del Ghiacciaio del Belvedere – che presentano un ampio bacino di accumulo e una lingua ablatrice lunga e stretta. L’idea non ebbe seguito fin quando gli inglesi Lighthill e Whitham (1955) rispolverarono la teoria delle onde cinematiche, applicandola allo studio delle piene dei fiumi e ai problemi della circolazione stradale (Mazza, 1997). Seguì l’applicazione in glaciologia a opera di J. Weertman (1958, in Hutter, 1983) e di J. Nye (1965), con una formulazione moderna, che tiene conto delle proprietà meccaniche e fisiche del ghiaccio e della loro dipendenza dalla temperatura, basata essenzialmente sulla risposta dei ghiacciai al variare del bilancio di massa. Ai due esempi citati – Mer de Glace e Hintereisferner – seguì quello del Nisqually Glacier (Veatch, 1969), che scende dal Mount Rainer, Washington, USA.
La teoria delle onde cinematiche è trattata in tutti i testi moderni di glaciologia: Lliboutry (1965), Hutter (1983), Paterson (1994) e Hooke (1998). Novità della nuova teoria delle onde cinematiche è l’introduzione del concetto di diffusione della sopraelevazione, che caratterizza l’onda stessa: una diffusione a monte rallenta il tempo di risposta o persino lo può annullare; una diffusione a valle rende più breve il tempo di risposta del ghiacciaio ai mutamenti del clima (Hooke, 1998).
E’ opinione dello scrivente che la teoria delle onde cinematiche sia applicabile al fenomeno in atto al Ghiacciaio del Belvedere (Foto A e fig. 1), la cui descrizione è oggetto del presente lavoro.
Fig. 1: la posizione geografica del Ghiacciaio del Belvedere.
2 – TOPONOMASTICA DEL GHIACCIAIO DEL BELVEDERE
Il Catasto dei Ghiacciai Italiani (CGI-CNR, 1959-1962) assegna vari numeri ai ghiacciai che concorrono a formare la lingua terminale di quello che oggi è considerato il Ghiacciaio del Belvedere. Con il numero 321 è indicato come unità autonoma il Ghiacciaio Locce Nord, pur confluendo nel Ghiacciaio del Belvedere e formando con questi un continuo, cioè una massa glaciale senza soluzione di continuità, criterio, come detto, introdotto dal De Marchi (1895) e confermato da Hutter (1983). La giustificazione di un proprio numero di catasto sta nella presenza di una fronte autonoma, immersa nel Lago delle Locce, che condizionò in passato la meccanica della parte terminale del ghiacciaio risultante quella di un tide-water glacier (Mazza, 1998). Con il numero 322 è indicato il Ghiacciaio del Signal, collegato in alto e in basso con il corpo principale del Ghiacciaio del Belvedere, e perciò formante anch’esso un continuo con quest’ultimo: non vi era dunque alcuna giustificazione nell’attribuire un numero di catasto e un nome, se non a fini geografici e alpinistici, a questa corrente di ghiaccio.
Foto A: il versante Est del Monte Rosa e il Ghiacciaio di Belvedere (in basso). I due lobi frontali, a forma di chele di granchio, raggiungono il fondo della Valle Anzasca (autore ignoto; foto non datata).
Con il numero 323 venne inoltre distinta, sotto la denominazione di Ghiacciaio del Monte Rosa, sia la parte elevata del Ghiacciaio del Belvedere sia quella massa di ghiaccio, oggi totalmente indipendente, posta sulla parete NE del Monte Rosa, allora collegato lateralmente al ghiacciaio principale; il numero 325 era invece assegnato alla parte inferiore del complesso glaciale che caratterizza la testata della Valle Anzasca. Tale toponomastica, oggi superata, è ancora presente in uno studio recente (Haeberli et alii, 2002). Monterin (1922) utilizzava il toponimo Ghiacciaio di Macugnaga, più rappresentativo dell’attuale; esso venne utilizzato nella cartografia IGM a partire dal primo rilevamento del 1884 (Quadrante 29.I, Monte Rosa). Nell’edizione 1925 dello stesso quadrante compare la denominazione di Ghiacciaio del Belvedere, poi accettata da tutta la cartografia ufficiale (IGM, CTR, CNS).
Nel presente studio, con la denominazione di Ghiacciaio del Belvedere (325) si considera la corrente principale di ghiaccio che scende dal Colle Signal (3769 m) e dalla Cresta Tre Amici, costituente un continuo con il Ghiacciaio del Signal (n. 322), come già specificato. Con il n. 323 si intende oggi il Ghiacciaio del Monte Rosa, del tutto indipendente dal Ghiacciaio del Belvedere, con quota minima a 3300 m, dopo l’asportazione del lobo frontale che scendeva ancora a 3200 m circa (IGM) prima del 1997. L’innalzamento di quota della fronte si è prodotto a opera della frana iniziata nel 1997, oggi (autunno 2002) pressocchè arrestatasi, che ha interessato il settore centrale della parete NE del M. Rosa.
3 – IL GHIACCIAIO DEL BELVEDERE: SUA STORIA RECENTE
Il Ghiacciaio del Belvedere è oggetto di studi fin dalla visita del De Saussure, avvenuta nel luglio del 1787 (Monterin, 1922). Tuttavia, le indagini e le misurazioni sul terreno, nonchè la ricostruzione storica della sua evoluzione su base razionale, benchè puramente descrittiva, inizia nel 1914 con U. Monterin (1922). Un secondo lavoro che descrive l’evoluzione del Ghiacciaio del Belvedere, con ampia documentazione fotografica dell’ultima massima espansione (1922), è dovuto al Sacco (1930). Un successivo contributo che, rifacendosi alla pubblicazione del Monterin, aggiorna la situazione al 1957, è di Gili-Borghet (1961). Occorre attendere fino al 2000 (Mazza) per vedere pubblicata un’indagine riassuntiva delle osservazioni effettuate al Ghiacciaio del Belvedere, nonchè degli studi e dei rilevamenti del Politecnico Federale di Zurigo, Dipartimento VAW (Idrologia, Costruzioni idriche e Glaciologia), negli anni 1983 e 1984 (relazione inedita). Questo lavoro ha maggior carattere fisico rispetto ai precedenti, una premessa per la comprensione dell’attuale evoluzione del ghiacciaio.
4 – MECCANICA DEI GHIACCIAI
Per tentare di interpretare il recente comportamento del ghiacciaio in studio, si ritiene opportuno ricordare alcuni principi fondamentali di meccanica dei ghiacciai. La deformazione del ghiaccio di ghiacciaio obbedisce alla seguente legge, detta comunemente di Glen (Hooke, 1998):
(1) dex /dt = A * ti jn
dove: dex/dt: gradiente di deformazione lungo l’asse x; t i j: componenti della tensione di taglio (driving stress); n: esponente generalmente pari a 3; A: proprietà del materiale in funzione della temperatura.
(2) A = A0 (- Q/RT)
dove: A0: proprietà di base del materiale (ad es. la densità) indipendente dalla temperatura; (- Q/RT): esponente dell’equazione di Arrhenius; – Q: energia di attivazione dello scorrimento viscoso per il ghiaccio; T: temperatura; R: costante dei gas perfetti (8,314 J mol-1 K-1).
Dalle formule sopra ricordate si deve dedurre che le proprietà meccaniche del ghiaccio, quindi la sua deformabilità, dipendono principalmente dalla temperatura (Paterson, 1994).
Tale considerazione è fondamentale per una comprensione almeno parziale di quanto sta avvenendo al Ghiacciaio del Belvedere. L’idea che il ghiaccio del ghiacciaio sia fragile in uno strato superficiale e plastico (o meglio viscoso ) in profondità, espressa da vecchi autori, è oggi da dimenticare: in realtà il ghiaccio si comporta diversamente (il che accade anche per altri corpi policristallini quali i metalli e le leghe in genere) secondo il tipo e il gradiente di sollecitazione. Di questo se ne era già domandata la causa il Rendu (1840). Si ritiene inoltre opportuno tenere presenti (Hutter, 1983, p. 14) i principi di conservazione della massa (3) e della quantità di moto (4):
(3) dρ/dt + ρvi = 0
(4) ρdvi / dt = ti j + ρf i
dove: dρ/dt: variazione della densità del ghiaccio nel tempo; ρ: densità del ghiaccio; vi : componenti del vettore velocità; ti j : componenti del tensore degli sforzi; f i : componenti della forza che agisce sul ghiaccio.
5 – EVOLUZIONE DEL GHIACCIAIO DEL BELVEDERE A PARTIRE DAL 1999
Circa l’evoluzione del ghiacciaio a partire dal 1957, si rimanda a Mazza (2000). Tra i più significativi eventi che hanno riguardato il ghiacciaio negli ultimi decenni, si deve ricordare il passaggio di un onda cinematica attorno al 1984-1985, che si tradusse in un debole avanzamento della lingua di sinistra (circa 12 m), culminato nel 1992, riconducibile ad annate di forte innevamento, soprattutto al biennio 1977-1978. Dopo la debole onda cinematica, che si estinse dopo il 1992, il ghiacciaio iniziò un costante e lento ritiro che risultò, dal 1992 fino all’estate del 2000, di circa 14 m (pari a 1,75 m annui): una entità assai modesta rispetto alla sua lunghezza di 5600 m circa (in proiezione orizzontale, a partire dal Colle Signal). Nel 1997 iniziò l’episodio franoso in destra idrografica del Ghiacciaio del Monte Rosa che durò fino a tutto il 2001, comportando, come già scritto, anche l’asportazione del margine destro di questo ghiacciaio, nonché del suo lobo frontale, stabile fin dal rilevamenti IGM del 1934, con quota minima di 3200 m circa. A partire dalla fine di agosto del 1999 la superficie del Ghiacciaio del Belvedere, a quota inferiore a 2200 m, in precedenza piuttosto livellata e interessata da ogive (Mazza, 2000), iniziò a divenire più scabrosa, movimentata, di percorso alquanto impegnativo. Lo stesso settore del ghiacciaio, nell’agosto del 2000, appariva nettamente sopralevato nella sua vena centrale; venne fatta l’ipotesi del possibile scatenarsi di un’onda cinematica (Mazza, 2001). A tale proposito Mazza scriveva: “A partire da 2500 m circa, la lingua principale del ghiacciaio è ricoperta dal materiale della frana alla destra (idr.) del Ghiacciaio del Monte Rosa (323), con origine attorno a 3600 m; sarà interessante vedere la ripercussione alla fronte tra qualche anno, sia per l’apporto di ghiaccio che per la maggiore copertura morenica. La frana sembra tagliare in due la parete; il materiale che sta continuamente franando da oltre 2 anni è costituito da detrito di falda; la frana non si sarebbe arrestata totalmente nemmeno d’inverno (inf. pers. di M. Midali). Un primo effetto potrebbe già essere l’aumento di quota del settore centrale della lingua del Belvedere, diversamente inspiegabile, con condizioni di alimentazione scarsa a partire dal 1987; la sopraelevazione si spinge fino alla pista che dal Belvedere conduce all’Alpe Fillar. La fotografia annuale per il Gh. di Castelfranco (327) conferma l’innalzamento della superficie del ghiacciaio (omissis)”.
Foto 1 e 2: il Ghiacciaio di Castelfranco, visto dal Belvedere, 1948 m (a sinistra il 25.08.1999; a destra il 5.08.2002). (A. Mazza).
Nel maggio 2001 è stata segnalata l’evoluzione inaspettata del ghiacciaio in argomento. In effetti, il 3 luglio 2001, contro la collina del Belvedere (1948 m) il ghiacciaio si trovava a quota 1938 m invece che ai 1926 m dell’estate 2000. Ancor più marcato era l’incremento di quota del Ghiacciaio del Belvedere alla Breccia Pedriola ove si presentava una parete di ghiaccio alta circa 40 m, con quota superiore oltre i 2120 m, riferita all’altitudine di 2117 m della Cappella Pisati (foto 3 e 4).
Foto 3: la lingua principale del Ghiacciaio del Belvedere, vista dalla Cappella Pisati, 2117 m; la superficie del ghiacciaio è molto più alta del filo della morena storica deposta. (A. Mazza, 21 Giugno 2002).
L’inverno 2000-2001 era stato caratterizzato da intense precipitazioni nevose; al Rifugio G. Oberto, 2796 m (CAI-Macugnaga), già ai primi di novembre si registrava un manto nevoso di 3 m circa (inf. pers. di M. Midali); lo stesso spessore era ancora presente a metà maggio 2001 (inf. pers. di R. Marone). E’ però da escludere un effetto di tale coltre nevosa sul fenomeno constatato poichè, in base alla teoria delle onde cinematiche, per il ghiacciaio del Belvedere si deve ipotizzare un tempo di risposta di 8-12 anni circa, ovviamente variabile secondo l’andamento termico estivo. Non si può quindi prendere in considerazione il forte innevamento invernale e primaverile 2000-2001 per spiegare il fenomeno osservato. Alla stessa data, il Ghiacciaio Nord delle Locce, anche se innevato fino alla fronte, già presentava un ritiro di 4 m, evidentemente non in fase con il troppo recente abbondante innevamento. Nell’anno seguente (2002), a una visita il 24 marzo, l’onda cinematica continuava ancora più intensa; infatti, il margine sinistro della lingua terminale destra aveva superato la morena di sponda, asportando la vegetazione di alnus viridis e scaricando sia blocchi di ghiaccio sia massi e detriti terrosi sul valloncello a lato. La parete di ghiaccio nerastro, impregnato di morenico, si estendeva verso valle, dalla collina morenica del Belvedere, per oltre 300 m. Tale situazione riceveva conferma in successive visite a partire dal 21 giugno 2002: alla collina morenica del Belvedere (1948 m CTR) la superficie del ghiacciaio si era innalzata di altri 4 m (1942 m ± 2 m, determinazione mediante altimetro). Si deve però sottolineare, come ripetutamente scritto da Mazza (1986-2002) che la lingua di destra ha presentato una continua risalita di quota negli ultimi 10 anni, tanto da rendere difficile, e infine impossibile, già nel 2001, l’uso della teleferica per il trasporto dei materiali al Rif. Zamboni-Zappa. La fronte di destra è oggi (2002) quasi totalmente scoperta ma la sua quota inferiore rimane ferma a circa 1820 m, contro il monticello morenico quotato 1822 m sulla CTR-Piemonte. Anche la lingua di sinistra appariva sopraelevata; una parete di ghiaccio alta da 5 a 10 m si era formata in destra idrografica e si era già propagata fin nei pressi della fronte. La misura della variazione frontale, effettuata il 29 agosto 2002, rivelava un avanzamento di 15 m; tale espansione, relativamente modesta, farebbe escludere l’ipotesi del surge, ventilata in un primo tempo.
Foto 4: la Breccia Pedriola nel 2002; nel 2000 da questo punto il ghiaccio non era più visibile sia per l’abbassamento del livello del ghiacciaio, sia per la deposizione di morenico. (A. Mazza, 5 agosto 2002).
Foto 5: la lingua di destra del Ghiacciaio del Belvedere, vista dalla capanna Hinderbalmo, 1915 m; è chiaramente visibile lo sfondamento della morena laterale sinistra. (A. Mazza, 29 agosto 2002).
Contro tale ipotesi sta inoltre (1) la mancanza della tipica morfologia del morenico frontale, nel quale si estingue il surge, (2) la velocità superficiale relativamente modesta del ghiacciaio – circa 100-110 m/anno (inf. pers. di A. Kääb, 2002) – e (3) l’inesistenza di un block flow , che nel fenomeno del surge, sostituisce il moto di scorrimento viscoso caratteristico dei ghiacciai. La velocità superficiale del ghiacciaio, determinata su fotogrammi aerei, è quella tipica di un’onda cinematica (3-4 volte la velocità del ghiacciaio, da assumersi in 30-35 m/anno, in dipendenza dal suo spessore, per il Ghiacciaio del Belvedere in condizioni stazionarietà). Un recente studio sul Variegated Glacier (Eisen O. & alii, 2001) indica che questo ghiacciaio entra in surge non appena lo spessore pluriennale di neve di accumulo invernale raggiunge 43,5 m w/e (water equivalent). Ciò è peraltro difficile da stabilire al Ghiacciaio del Belvedere, mancando una cartografia di dettaglio, dotata di riferimenti geodetici comuni nelle diverse edizioni (datum, proiezione, coordinate), che consenta di valutare la riduzione di spessore nelle parti elevate del ghiacciaio, come ipotizzato da Haeberli (inf. personali), né essendo possibile effettuare un tradizionale bilancio di massa sui ripidissimi pendii superiori (> 40°).
Foto 6: il Ghiacciaio del Nordend con la sua morena sinistra deposta, visibile fino al 1999 dal Belvedere, 1948 m. (A. Mazza, 25 agosto 1999).
Foto 7: a partire dal 2001, non è più visibile la morena deposta del Ghiacciaio del Nordend, per il forte innalzamento della superficie del Gh. del Belvedere. (A. Mazza, 26 agosto 2001).
Di notevole importanza è il riscontro della formazione (giugno 2001) di un laghetto ai piedi della parete NE del M. Rosa, la cui quota (circa 2150 m) non fu possibile determinare con precisione per la difficoltà e pericolosità dell’accesso. Nel giugno 2002 (foto 8 e 9) il lago, nel frattempo denominato Effimero, ha assunto dimensioni superiori a quelle del Lago delle Locce, tanto da richiedere interventi estremi ai fini di un suo svuotamento. Pur ritenendosi sensato e doveroso affrontare il problema, dato il precedente calamitoso del Lago delle Locce (Mazza, 1998), si deve lamentare che gli interventi della Protezione Civile hanno comportato un’inaccettabile alterazione ambientale.
Lo svuotamento del lago, la cui genesi deve ricercarsi, più che nella fusione locale di ghiaccio, in un accumulo d’acqua causato dall’abbassamento della superficie del ghiacciaio, avvenne poi gradualmente per naturale percolazione dell’acqua nei crepacci. Si tenga presente in proposito che la diffusività termica nel ghiaccio (Paterson, 1994) è data da:
(5) 1,09 * 10-6 m2 s-1
fattore quindi che non giustifica l’ipotesi di fusione del ghiaccio a causa di moti convettivi dell’acqua dovuti a differenze di temperatura tra superficie e zona di contatto con il ghiaccio.
Foto 8 e 9: il Lago Effimero, come si presentava il 21 giugno (sopra) e il 5 agosto 2002 (sotto). (A. Mazza).
Tornando all’avanzata recente del Ghiacciaio di Belvedere, quattro fattori possono aver contribuito al verificarsi del fenomeno:
1) il riscaldamento globale (indipendentemente dalle sue cause) ha innalzato di almeno 150 m la quota dello 0 °C medio annuo, attualmente collocabile tra 2900 e 3000 m (quota del nevato); ciò ha reso il ghiacciaio più tenero (softer), quindi più facilmente deformabile; il passaggio dal ghiaccio freddo al ghiaccio temperato ha verosimilmente destabilizzato i grandi pendii ghiacciati posti sotto la Cresta Tre Amici, mobilizzando notevoli quantità di ghiaccio. E’ noto che a 0 °C (273,15 K) i contorni dei grani possono essere parzialmente allo stato liquido (Lliboutry, 2002) e quindi facilitare la deformazione del ghiaccio; tale fenomeno è ancor più marcato a 273,16 K (punto triplo dell’acqua; temperatura massima assoluta dell’acqua allo stato solido);
2) il sovraccarico sul ghiacciaio dovuto all’impatto della miscela roccia-ghiaccio (densità superiore a quella del solo ghiaccio, che è circa 0,910) che precipita sul Ghiacciaio del Belvedere dal 1997, con conseguente aumento della quantità di moto (m * v) dello stesso;
3) l’abbondanza d’acqua che proviene sia dalla parete NE del M. Rosa sia dalla fusione del ghiaccio in relazione alla bassa quota della lingua terminale;
4) la reologia del morenico di fondo (till), influenzata dall’acqua e dalla relativa pressione (Cohen, 2000; Truffer et alii, 2001), può contribuire in modo sostanziale ad incrementare la velocità superficiale del ghiacciaio.
Impossibile fare affermazioni sul tempo di reazione (istante in cui una variazione climatica innesca quella della massa glaciale) e sul tempo di risposta (tempo tra inizio della reazione e variazione di quota e frontale di un ghiacciaio) del ghiacciaio in studio, mancando qualsiasi dato di accumulo nelle parti elevate dello stesso ghiacciaio e potendosi soltanto estrapolare valori di temperatura sulla base di quelli misurati dai ricercatori svizzeri in più occasioni al Colle Gnifetti, 4450 m (-14 °C in superficie) .
6 – OSSERVAZIONE FINALE
E’ attualmente ancora impossibile definire univocamente le cause del fenomeno di espansione constatato al Ghiacciaio del Belvedere a partire dal 2000. Ulteriori rilevamenti sono in corso; l’analisi delle fotografie aeree e la deduzione della velocità superficiale del ghiacciaio potranno in futuro contribuire a chiarire il fenomeno in atto. A monte della Breccia Pedriola vi sono (settembre 2002) i primi segni che il massimo del bulge dell’onda cinematica è già passato.
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ABSTRACT
Si accenna alla teoria delle onde cinematiche, priorità della glaciologia italiana, formulata da L. De Marchi nel 1895. Dopo aver chiarito la toponomastica dei principali ghiacciai che scendono dal versante NE del M. Rosa, si ricordano brevemente gli studi pubblicati sul Ghiacciaio del Belvedere prima del 1999, anno in cui appaiono i primi sintomi dell’onda cinematica che percorrerà in seguito il ghiacciaio. L’assenza di dati climatici per l’alta Valle Anzasca non consente di stabilire una relazione tra precipitazioni/temperatura e variazioni frontali del Ghiacciaio del Belvedere. Vengono esposti alcuni principi di meccanica dei ghiacciai, che si ritengono indispensabili per capire la situazione attuale del ghiacciaio. Viene infine descritta l’evoluzione del ghiacciaio a partire dal 1999, esponendo possibili interpretazioni del fenomeno in atto, peraltro ancora insufficienti alla comprensione dello stesso.
Parole chiave: Ghiacciaio del Belvedere (Italia), surge, onda cinematica
The kinematic wave theory, priority of the Italian glaciology, suggested by L. De Marchi in 1895, is shortly reviewed. After clarfying the present toponomastics of the glaciers flowing down from the NE wall of Monte Rosa, we recall the main papers on Ghiacciaio del Belvedere published untill 2000, the year in which took place the first signs of the future kinematic wave running along the subject glacier. As no climatic data are available for the upper Anzasca Valley, no correlation can be established between precipitations/temperature and terminal fluctuations of Ghiacciaio del Belvedere. Some principles of glacier mechanics are shortly outlined, assuming that they can help in understanding the present evolution of the investigated glacier. And this evolution starting from 1999 is finally outlined, giving some tentative interpretation of the case, which however is far from being fully understood.
Key-words: Ghiacciaio del Belvedere (Italy), surge, kinematic wave
On donne des notes sur la théorie des ondes cinématiques, aspect prioritaire pour les études glaciologiques en Italie, formulée par L. De Marchi en 1895. Après avoir donné des informations sur la toponomastique des glaciers qui descendent vers le versant NE du Mont Rose, on rappelle brièvement les études publiés sur le Glacier de Belvedere avant l’année 1999. En 1999 on a enregistré les premiers symptômes de l’onde cinématique qui commence a parcourir ce glacier depuis cette année. La manque des données climatiques relatives à l’haute Valle Anzasca nous empêche d’établir un rapport entre précipitations/températures et variations du front du Glacier de Belvedere. On expose des principes de mécanique des glaciers, nécessaires pour comprendre la situation actuelle du glacier. On décrit enfin l’évolution de ce glacier, étudié depuis 1999, en exposant des possibles interprétations de ce phénomène encore actif, mais toutefois encore insuffisantes pour le comprendre.
Mots clés: Glacier de Belvedere (Italie), surge, ondes cinématiques
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Monterosa4000 ringrazia per la collaborazione e la gentile concessione all’utilizzo di quanto sopra riportato, il Servizio Glaciologico Lombardo e Terra Glacialis (da N° 6 – 2003).